martedì 12 agosto 2025

#goofy14: don't panic

Bonjour!

Ho pochissimo campo, per cui vi rifilo un rapido post di servizio. In due giorni siamo già un pezzo avanti con le prenotazioni, e considerando che ancora non sapete chi verrà e che molti "follower" in realtà passano il tempo a menarselo nella cloaca (quindi nemmeno sapranno che le prenotazioni sono partite) direi che va tutto come al solito, cioè meglio del solito. Per motivi che non riesco a spiegarmi, nonostante tutto quello che potrebbe nel tempo avervi allontanato (e che in effetti ha fatto disamorare alcuni: ma forse è proprio la qualità di queste amanti tradite, petulanti e rancorose, a tenervi attaccati al progetto, vista la qualità delle millantate alternative!), l'evento cresce. Probabilmente ci sarà una qualche sostituzione di goofysti con leghisti, sicuramente c'è una sostituzione di sciroccati con manager e professionisti, ma insomma, l'UE non avrebbe nulla da rimproverarci: se c'è qualcosa di resiliente è la community, che sicuramente le sopravviverà.

Ciò posto, vorrei segnalare che se le istruzioni vengono date, poi devono essere seguite. Le istruzioni sono qui e prevedono che inviate un modulo di prenotazione. Noi poi abbiamo da qualche parte un contratto dove è scritto che la struttura per noi sarà aperta l'8 e 9 novembre (un gesto di disponibilità che apprezziamo, anche se, naturalmente e giustamente, non è gratis!). Quindi se succede questo:


"mi verrebbe da" (cit.) pensare che non sia stato inviato il modulo di prenotazione (come da istruzioni diligentemente redatte dall'ottima Sara immune da biasimo).

Don't panic! Siamo lì, e c'è posto. La struttura è grande e non riusciremmo a riempirla nemmeno se fossimo CL. Ma, per fortuna, siamo Goofynomics!

Valgono insomma le solite raccomandazioni: se mi seguite, seguitemi, e se mi chiedete un consiglio, seguitelo (e quindi se vi fornisco delle istruzioni, seguitele).

Pax et bonum!



(...e ora salgo in montagna, poi scendo per tuffarmi nel rutilante caleidoscopio della politica di territorio: gente che molto spesso del nostro lavoro nulla sa, gente cui questa foto:


nulla dice (ancora ricordo le bestemmie con cui la accolsi!), persone le cui motivazioni sono spesso distanti dalle nostre, qualche volta addirittura opposte - il grillismo ha avvelenato anche i nostri pozzi, come sapranno quelli che di voi hanno fatto una scelta di militanza. Ma va bene anche così. Il partito perfetto è quello con un solo iscritto: peccato che non arrivi mai in parlamento. Avanzare separati per colpire uniti!...)

domenica 10 agosto 2025

#goofy14: Quod Erat Demonstrandum

Ci siamo!

Le prenotazioni per il #goofy14 sono online su Eventbrite, con un titolo che è tutto un programma.

Negli ultimi due anni abbiamo visto venire al pettine una quantità impressionante di nodi, molti (ma non tutti) dei quali erano stati anticipati su questo blog, tutti comunque da a/simmetrie e dalla community di Goofynomics, in scarsa (ma eletta) compagnia. Non bisognava leggere gli astri per capire che qualcosa sarebbe andato storto: bastava leggere la realtà alla luce della teoria più standard (che fosse economica, fisica, o di altra disciplina). Bastava, insomma, un po' di cultura generale, che, non a caso, è la nemica del piddino (vedi lo smantellamento scientifico della scuola dell'obbligo) e anche del cretino (che oggi è specializzato, come ci ricordava un grande abruzzese, per me il più grande, fatto salvo Ovidio). Dobbiamo anche riflettere su quale sia il valore dell'essere dalla parte della ragione, o forse, in un'ottica diversa: su come trasformare in un valore politico l'essere sempre stati dalla parte della ragione. La riflessione più ovvia è che il principale ostacolo alla corretta attribuzione delle ragioni e dei torti, cioè al funzionamento della democrazia, è dato dal sistema dei media, corrotto fino al midollo da interessi economici e da una postura faziosa che  conferisce autorevolezza (agli occhi degli stolti) in assenza di una pur minima capacità di lettura dei dati più elementari:


L'annuncio che negli anni '80 e fino ai primi anni '90 ci sembrava un paradossale espediente letterario, quello dell'aumento della razione di cioccolata a 20 grammi dai precedenti 50 grammi, è diventato il nostro pane quotidiano, per motivi che tanto bene spiega Giraldo nel suo L'impero minore (e ne parleremo). Peraltro, credo resti valida la definizione che Stendhal dava del romanzo (uno specchio che viene trascinato lungo una strada...), tant'è che, se studiassimo meglio la storia, probabilmente scopriremmo che Orwell, più che un profeta, era un notaio, più che antivedere un ipotetico futuro, registrava semplicemente quella che già al suo tempo era la realtà dei rapporti di forza e dei relativi meccanismi di gestione.

Strano come una "profezia", vista dal futuro, somigli a un QED.

A fronte di un sistema così ben congegnato e preponderante per forze e per mezzi, un sistema che non può fallire, non dobbiamo illuderci che le nostre limpide ragioni possano avere la forza del paradossale e del controintuitivo (l'austerità che fa crescere, la razione che aumenta da 50 a 20...), soprattutto se questa forza è sostenuta dalla potenza di fuoco di chi è disposto a buttare un pozzo di soldi nell'impresa fallimentare dei media, per consolidare assetti di potere che gli garantiscono rendite multiple della ciotola di pappa gettata agli operatori informativi! Non dobbiamo quindi fare l'errore di pensare di poter convincere i nostri interlocutori: il dibattito, lo abbiamo visto spesso, crea hype, ma la conversione dell'hype in consenso, in atti concreti (che sia mettere il nome altrui su una scheda o il nome proprio in calce a un foglio) è sorprendentemente bassa, nonostante che da un lato noi si cresca numericamente sempre di più (il percorso politico un po' di visibilità l'ha aggiunta, forse un po' di più della credibilità che ha tolto), e che dall'altro l'hype sia utile perché, nel mondo autoreferenziale della decisione politica, serve a dimostrare di essere influenti (basta farsi un giretto per la cloaca per vedere che tweet su materie di assoluta rilevanza scritti dagli agguerriti e ben pagati staff di comunicatori di leader prominenti non sempre arrivano alle 39.220 visualizzazioni della mia modesta considerazione qua sopra: e Claudio fa molto meglio)! Quest'ultimo dato non è irrilevante, ma la sua rilevanza non è quella che pensate voi (creare la fantomatica maggioranza del 51%), ma è diversa: influenzare le decisioni dei leader, che anche quando esortano a non leggere i giornali, vivono comunque "in bolla" come tutti noi che facciamo parte del business (tutti, o quasi tutti...), e sono quindi soggetti a confondere l'egemonia del divano con l'egemonia gramsciana...

La sondaggiocrazia è in re ipsa Likecrazia (come ci aveva ammonito a suo tempo Daniele), quindi tutto fa. Ma... la maggioranza ce l'ha solo chi controlla il flusso informativo: è quantità, e si fa con la quantità, non con la qualità. Per controllare le sorgenti e impedire che vengano avvelenate occorre tempo, e solo voi potete vendercelo, insistendo a sostenerci.

Il senso del nostro incontro è quindi, come tutti gli anni, quello di difendere la qualità perché non vada spersa, di custodire sotto le ceneri del buonsenso una brace di speranza e di verità da cui possa un giorno rianimarsi la fiamma della prosperità e della giustizia sociale. Un compito determinante che ci è stato tramandato da quando, come qualcuno ricorderà, lanciai il mio grido di allarme. Era l'agosto del 2011, e da allora molti di voi sono con me. Sarebbe ridicolo attribuire a quel grido, che pensava di sperdersi nel vuoto della disattenzione generale, un potere risolutivo nel destare le coscienze, ma sarebbe altrettanto e più ingiusto non riconoscere quanto esso abbia, per la sua parte, e attraverso il caleidoscopio dell'eterogenesi dei fini, contribuito a influire sul corso degli eventi. La forza di quel grido era la forza stessa dei fatti, la cui concatenazione non poteva che condurre a un quod erat demonstrandum, alla Canossa degli arroganti cialtroni che tutto hanno fatto per impedirci di parlare, senza riuscirci, per poi venire oggi a proclamare sui media ufficiali quello che qui è patrimonio comune da anni, ormai da decenni. Quindi, il nostro compito non è meramente difensivo e conservativo: la valutazione della nostra opera dipende, ovviamente, dalle metriche che si adottano, e in questa riflessione la saggezza di Claudio è illuminante: i "venti anni di sovranismo" (che non sono venti e non sono di sovranismo...) sono una imprescindibile lezione di metodo, e anche di questo, naturalmente, si parlerà.

Ci vediamo a Montesilvano l'8 e 9 novembre!

giovedì 7 agosto 2025

Meno tre al #goofy: appunti per Marcinelle

Nel liber scriptus in quo totum continetur ne abbiamo già parlato, come qualcuno ricorderà. Parlato di cosa? Ma di Marcinelle, appunto. Domani parteciperò a una commemorazione di quell'evento, uno dei tanti fatti tragici dell'Abruzzo di cui una certa parte politica si è appropriata a dispetto dell'evidenza storica. Lo stesso racconto del Protocollo italo-belga che viene fatto dal più subdolo organo di piddopropaganda non riesce a dar conto in modo completamente coerente delle motivazioni sottostanti al disastro. Se era vero che gli italiani venivano chiamati per fare "i lavori che i belgi non volevano più fare", come mai su 262 vittime il 36% era belga? La verità è che gli italiani venivano chiamati per fare i lavori che i belgi non potevano più fare perché già occupati altrove. L'accordo "minatori-carbone" era un accordo fra un Paese con disoccupazione all'8,8% (l'Italia) e un Paese con disoccupazione all'1,2% (il Belgio). Esattamente come in Italia non c'era lavoro per le persone che emigravano, e non c'era lavoro perché mancavano i capitali (quei capitali che poi sarebbero stati ricostituiti in parte anche con le rimesse degli emigrati), in Belgio non c'erano persone per sostenere lo sforzo produttivo che il Paese stava affrontando.

Nella direzione di questi flussi c'era quindi una logica economica e geopolitica: il lavoro andava dove occorreva, e ci andava per rinsaldare rapporti che il conflitto aveva compromesso, e per contribuire con risorse finanziarie e materie prime alla ripresa del nostro Paese.

Non credo che oggi si possa dire la stessa cosa dei flussi che riguardano il nostro Paese, ma di questo abbiamo già parlato in tante occasioni. Intanto, vi segnalo che fra tre giorni partiranno le prenotazioni per il #goofy: si torna all'antico, alla notte di San Lorenzo. Anche quest'anno impareremo e ci divertiremo. Anticipazioni non ne do: sono pur sempre il deputato del collegio dove riposa quello che si sentì dire:

QVIA VIDISTI ME THOMA CREDIDISTI BEATI QVI NON VIDERVNT ET CREDIDERVNT!

Non sarò certo io a frustrare la vostra aspirazione alla beatitudine!

Ci vediamo domani...

Breve nota tecnica sull'impatto dei dazi

Premesso che chi si è esibito in performance simili:


forse farebbe meglio a lasciar passare qualche secolo in dignitoso silenzio, nella speranza di farsi dimenticare, ma riconosciuto altresì che un minimo di imbonimento da fiera paesana è comunque connaturato alla rappresentazione degli interessi ed è da considerarsi fisiologico, voglio fare ammenda su una mia valutazione errata riportata in questo post. Il delitto mio non è, direbbe Leporello, ma è dei soliti noti, dei nemici della democrazia, degli operatori informativi. Sono loro ad aver titolato:


e questo mi ha indotto a pensare che al CSC avessero seri problemi col concetto di elasticità al prezzo (che con ordini di grandezza simili sarebbe stata del 200%: una cosa mai vista in natura, come spiegavo appunto nel post sull'impatto dei dazi).

In realtà, la valutazione del modello CSC (pubblicato dove?) è coerente con quella del modello di Bagnai et al. (2017) (pubblicato su Economic Modelling), perché, come spiegato da una civile & resiliente esponente della nota associazione di categoria nel corso di questo pacato & costruttivo dibattito:


l'impatto di 23 miliardi è calcolato tenendo conto anche della rivalutazione nominale dell'euro, stimata al 15%, e quindi è riferito a un incremento complessivo del 30% sul tasso di cambio reale. A incremento doppio, impatto doppio, e pari elasticità (sempre intorno a 1).

Tuttavia qualcosa mi lascia supporre che questi impatti siano sempre sovrastimati, e pesantemente, e se volete vi spiego subito perché. Il fatto è che i tassi di cambio reali (che sono il prezzo relativo dei beni nazionali rispetto a quelli esteri) sono costruiti con riferimento a due classi di indicatori: o gli indici dei prezzi al consumo, o il costo del lavoro per unità di prodotto. Lo vedete ad esempio qui, nel database dell'Eurostat, che vi consente appunto di scegliere l'indicatore che preferite:


Non entro ora nella ratio di questa scelta, cioè nel perché si usi l'uno o l'altro indicatore e su quale sia preferibile per quale analisi (a richiesta ve lo spiego). Voglio solo far notare che quello che riusciamo a misurare econometricamente è la reazione dei volumi venduti alla variazione del prezzo finale, quello al consumo. Ora, il fatto è che, come sa chiunque abbia un minimo di cervello, il famoso 15% non si applica allo scaffale, ma in dogana. Per capirci, con qualche approssimazione: non si applica al prezzo al dettaglio (che è quello che confluisce nella valutazione del tasso di cambio reale e quindi nella stima dell'elasticità di prezzo), ma al prezzo all'ingrosso, con riflessi proporzionalmente inferiori sul prezzo al dettaglio.

Credo capiate dove voglio arrivare, anche perché è sempre la stessa storia. Quelli che oggi dicono che all'aumento dei dazi del 15% conseguirà un apprezzamento del cambio reale del 15% sono della stessa pasta marrone (che non è cacao) di quelli che dicevano che a un deprezzamento reale del 20% sarebbe conseguita un'inflazione del 20% (ne abbiamo parlato qui, come ricorderete, analizzando le leggende metropolitane bipartisan - perché il non cacao è assolutamente trasversale, c'è in versione socialisteggiante e c'è in versione #verolibberale...). Ci vuole più di un neurone per capire che l'attività economica è fatta di tanti snodi, e che fra ognuno di questi c'è un pass-through: esattamente come un deprezzamento di x% non comporta una inflazione del x%, e esattamente per gli stessi motivi (perché il pricing in regimi oligopolistici o imperfettamente concorrenziali si basa sull'applicazione di mark-up sui costi, mark-up che possono essere ridotti per assorbire shock di prezzo allo scopo di mantenere quote di mercato), un dazio di x% non comporta un aumento del prezzo finale di x% e quindi un apprezzamento del cambio reale misurato sul prezzo finale di x%.

Morale della favola?

Dopo tanto stracciavestismo e espertonismo un tanto al mazzo (di cui fra un po' avrete un esempio all'Aria che tira) non è escluso che, come già accadde nel primo mandato Trump, e prese tutte le debite cautele rispetto al fatto che qui si parla di un dazio generalizzato e comunque il clima internazionale è improntato a una maggiore conflittualità, alla fine le esportazioni italiane verso gli Usa possano in realtà crescere, se l'effetto reddito (maggiore crescita negli Usa) prevarrà sull'effetto prezzo (minore competitività del prodotto europeo), tanto più che il prodotto italiano è solo italiano, e quindi in re ipsa difficilmente sostituibile.

Quindi calma!

Il vero problema è un altro: il fallimento industriale europeo del green deal, e il nostro fallimento politico nel realizzare quella che è e resta una nostra legittima ambizione: essere arbitri del nostro destino sganciandoci da chi regolarmente ci porta a combattere battaglie in guerre che non sono la nostra guerra. Sì, finora non siamo riusciti a renderci indipendenti, ma qualche passo lo abbiamo fatto (vedi riforma MES) e continuiamo a spingere in quella direzione. Ci vediamo fra un po' in TV con chi lo desidera...

Dal nido del falco

Sono arrivato. Domattina collegamento a l'Aria che tira, non in Zoom ma con lo "zainetto" (mandano una troupe, il che mi consacrerà definitivamente come personaggio qui in paese). Dopo pranzo riunione col coordinatore provinciale. Dopodomani (ma in realtà ormai domani, cioè venerdì) sveglia prestissimo, perché bisogna essere dalla parte opposta della gigantesca montagna, a Manoppello, all'ora in cui qualcosa andò storto a Marcinelle. Poi gommista, poi due incontri coi militanti, poi si torna in quota. Dopodomani (cioè sabato) per ora è previsto solo un concerto d'organo a Carunchio, ma andrò almeno un'oretta prima per fare due chiacchiere col sindaco, e poi non so se tornare al nido del falco, o proseguire verso un non luogo che non esiste.

Non che siano proprio vacanze, ma almeno ci sono dodici gradi.

Il primo giorno libero è domenica, ma è il giorno libero di tutti, e quindi dovrò scegliere bene la montagna in cui andare da solo (e un'idea ce l'ho, ma... non la dico, per restare solo!).

Il problema più serio, quello del collegamento Internet, alla fine mi sembra risolto. Ora, per tre settimane, guarderò il mondo da questo oblò:


(sì, quello che vedete è Roio del Sangro, a sud della linea Gustav).

Se non esagererò coi grafici riuscirò anche a restare in contatto con voi. Di cose da dire ne avrei, e magari cominciamo domani, dopo la riunione di coordinamento, a meno che lo spirto guerrier ch'entro mi rugge non mi spinga verso il bosco o verso l'alto, in cerca di altri animali asociali.

Intanto, buona notte! Domani si parlerà di dazi. La cronaca ha più fantasia dei cronachisti, ma essere in squadra significa anche cercare di rendere divertenti delle cose noiose. Il gap che separa chi è qui da chi guarda la TV è incolmabile, temo, e sinceramente fra divertire voi e tentare di istruire chi nel 2025 ancora non ha capito non ho esitazioni! La vita è troppo breve per annoiarsi. Le vacanze, poi, sono brevissime (per chi ce le ha) e quindi scusandomi per aver abusato del vostro tempo mi congedo.


(...nella migliore delle tradizioni, il 10 partono le iscrizioni al goofy...)

mercoledì 30 luglio 2025

Dalla Slesia con furore

La mattinata è iniziata con una vivace discussione nella chat della Community abruzzese, discussione originata da un aggiornamento di questa notizia:


Pare che non siano 400 ma 600, ecc. Il dato, lo immaginate bene, è catastrofico per la valle (del Sangro), per la provincia (di Chieti) e per l'Abruzzo. Il giochino sappiamo qual è e purtroppo sappiamo anche dove porta:

ma nelle pieghe del discorso è emerso che il game changer, secondo alcuni, risaliva a tre anni fa:


In realtà, non è che le cose in Polonia vadano benissimo, ma non entro in questo. Il punto è che, come vi ho detto spesso, dà un po' ai nervi che ci venga fatta concorrenza interna da chi non solo ha mantenuto e usato la flessibilità del proprio cambio nominale, ma soprattutto beneficia in modo sproporzionato dei fondi che escono dalle nostre tasche!

Questa cosa la sapete bene, anche Claudio ve la ricorda spessissimo, ma vorrei farvela vedere in dettaglio (impegno preso con gli amici abruzzesi). Per comodità, non partirò dal tempo di Checco e Nina, ma dall'inizio del secolo, in modo da avere tutti i dati in un unico foglio, questo, che trovate alla pagina EU spending and revenue 2021-2027. Vi fornisco i flussi al netto delle operazioni straordinarie (cioè escludendo gli esborsi del PNRR, che sono debiti da rimborsare), ma se volete avere il quadro di cassa completo potete tranquillamente riprodurvelo coi dati. Quello che ci serve quindi, anno per anno, sono le "national contributions" (soldi che gli Stati membri danno al bilancio, i contributi al bilancio dell'Unione), le "total expenditures" (fondi che l'UE attribuisce agli Stati membri perché li spendano, e quindi i fondi che provengono dal bilancio dell'Unione), e naturalmente il Pil (per fare un rapporto).

Con un po' di santa pazienza (purtroppo oggi sono influenzato e quindi me ne sto alla scrivania a lavorare), l'impianto dei calcoli è questo qui:


la rappresentazione grafica del contributo (valori negativi) o beneficio (valori positivi) netto in valore assoluto è questa qui:


e in rapporto al Pil nazionale è questa qui:


I dati si commentano da soli, ma sentitevi pure liberi di esprimervi. Della sproporzione ero a conoscenza, ma certo che vederla rappresentata così, sapere che un Paese in cui delocalizziamo le nostre produzioni viene sussidiato a botte del 2% del Pil e oltre, ovviamente non fa piacere, anche se intuiamo l'astratta e nobile motivazione di creare un level playing field...

A differenza di Dostoevskij, che avrà avuto i suoi buoni o cattivi motivi, io non sono sospettabile di animosità verso il nobile popolo polacco, che mi ha dato tanto. Sono cresciuto ascoltando questo ripetuto e ripetuto dalla mia mamma:

(non so se adesso mi chiuderanno il sito); per motivi che non saprei nemmeno spiegarvi e sui quali è comunque inconferente dilungarsi questo:

ha cambiato significativamente il mio rapporto col pianoforte e col romanticismo (cosa di cui gli sono grato); mi piacciono i pierogi e i tramonti lunghi. Sono anche uno poco attaccato ai soldi. Però l'idea che questi qui ci fottano coi nostri soldi a me dà un pochino fastidio, forse un po' di più dell'idea che con i nostri soldi la UE, in cambio del bel servizio che ci rende, si faccia pubblicità, deturpando le nostre scuole con le sue placche infami.

Tutto qua.

martedì 29 luglio 2025

L'impatto dei dazi: ordini di grandezza

Premesso che sapete bene che cosa pensi del Fmi e delle sue previsioni, segnalo che mentre sui media italiani imperversa la narrazione terribilista e stracciavestista sui dazi di Trump, dalle istituzioni internazionali ci perviene questo messaggio:


e quindi la domanda, oggettivamente, si pone: ma com'è possibile che se siamo finiti, se il disastro dei dazi ci travolgerà, il Fmi innalzi le stime di crescita? Dov'è l'errore, se c'è?

Per mettere un po' di ordine nel caos volevo darvi qualche ordine di grandezza utile a valutare l'impatto di questa contromisura. Come punto di partenza prendo il mio modello dell'economia italiana, quello pubblicato nel 2017 con Brigitte Granville e Christian Mongeau-Ospina su Economic Modelling (la versione working paper, accessibile a tutti, è qui). Questo modello ci è utile intanto perché è pubblicato con peer-review (non mi risulta che i pronostici di altri centri di ricerca più o meno prestigiosi siano tutti passati da quel vaglio) e poi perché il suo blocco del commercio estero rappresenta il commercio estero dell'Italia disaggregandolo per i principali blocchi dell'economia mondiale, e quindi prevede una funzione delle esportazioni specifica per gli Stati Uniti, questa:

dove vi ho evidenziato il parametro che ci serve, l'elasticità delle esportazioni al tasso di cambio reale, che è sostanzialmente pari a -1. Una elasticità di -1 significa che un aumento del 15% del tasso di cambio reale verso gli Stati Uniti, come quello astrattamente causato da un aumento dei dazi del 15%, dovrebbe determinare una variazione del -1x15% (cioè una diminuzione del 15%) del volume delle esportazioni verso gli Stati Uniti.

Ora, secondo le statistiche di bilancia dei pagamenti le esportazioni italiane nel 2024 erano così configurate:


720 miliardi di euro, di cui 341 al di fuori dell'UE, di cui 74 verso gli Stati Uniti. Il 15% di 74 è 11.1, quindi i dazi al 15% causerebbero una diminuzione delle esportazioni italiane di 11 miliardi, che sono il 15% delle esportazioni verso gli Usa, e siccome le esportazioni verso gli Usa sono il 10% di quelle totali, la diminuzione delle esportazioni totali sarebbe pari all'1.5%, e siccome le esportazioni sono un terzo del Pil:


l'impatto sarebbe ceteris paribus pari a circa lo 0.5% del Pil, che non è poco.

Undici miliardi, per capirci, è una roba tipo la stangata che Monti ci diede nel 2011 con l'IMU:


Vi dico subito che queste valutazioni (di cui mi fido per ovvi motivi) sono all'interno del range delle valutazioni effettuate dagli altri (in appendice vi metto un riassunto fatto dall'amico intelligente), i cui valori vanno dai 7.5 miliardi di Unimpresa ai 22 miliardi di Confindustria. 

Va però aggiunto che si tratta di valutazioni di lungo periodo, di equilibrio parziale, e che non considerano il livello attuale dei dazi.

Partendo dalla fine, i dazi prima dell'arrivo di Trump non erano a zero. Una valutazione macroeconomica non è facile da fare, perché l'imposizione dei dazi è molto granulare, colpisce le singole merci, con percentuali differenziate, ma insomma quelli bravi ci dicono che prima di Trump la media si avvicinava di molto al 5%:


L'incremento non sarebbe quindi di 15 (da zero a 15) ma di 10 (da 5 a 15), e conseguentemente l'impatto totale sarebbe ridotto di un terzo: il 10% di 74 è 7,4 che corrisponde appunto al 10% delle esportazioni verso gli Usa, cioè all'1% delle esportazioni totali, cioè allo 0,3% del Pil.

Circa il tema breve-lungo periodo, nel nostro modello in effetti le due elasticità sono sostanzialmente identiche, a testimoniare che gli aggiustamenti di prezzo sostanzialmente hanno luogo all'interno dell'anno (i dati hanno cadenza annuale). L'elasticità di breve periodo infatti è:


-0.92, sostanzialmente pari a uno (volendo fare i precisetti, dovremmo dire che la variazione delle esportazioni è data dal 0.102 x (-0.929) = - 9.4758%, pari a 7 miliardi di calo delle esportazioni nel breve periodo, ma insomma siamo lì, anche se più vicini al limite inferiore del range calcolato da Unimpresa).

Il vero tema però è un altro, cioè il fatto che queste sono valutazioni di equilibrio parziale, cioè non tengono conto di una serie di altri effetti indotti, fra cui:

1) l'effetto reddito negli Stati Uniti (se Trump riesce a spingere l'economia Usa, è vero che il vino costerà di più, ma è anche vero che gli statunitensi, soprattutto quelli in grado di apprezzare il vino italiano, avranno più soldi in tasca);

2) l'effetto reddito negli altri paesi (se #idazzidiTrump scatenassero una recessione mondiale, cosa che il Fmi smentisce:


allora avremmo un calo generalizzato delle esportazioni, cioè avremmo un problema non solo col 10% che va verso gli Usa, ma anche col 90% che va altrove);

3) l'effetto sostituzione (c'è chi è stato "dazziato" più di noi, ad esempio, e sicuramente le misure di Trump un po' di trade diversion la causano: non è detto che non ci facciano guadagnare qualche cliente).

Naturalmente il discorso non si esaurisce qui e va fatto filiera per filiera, prodotto per prodotto, mercato per mercato. Questi però sono gli ordini di grandezza macroeconomici, e in appendice, come vi ho detto, trovate una rassegna fatta dall'amico intelligente, nella quale credo che dopo questo esame sarete in grado di orientarvi meglio.

Buona lettura (ora ho una riunione organizzativa del #goofy14, dove ovviamente si parlerà anche di questo...)!



Appendice: l'amico intelligente

L’imposizione di dazi al 15% sulle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti, come previsto dall’accordo USA-UE annunciato il 27 luglio 2025, avrà un impatto significativo sull’export italiano, con stime che variano in base a fonti e metodologie. Di seguito, sintetizzo le informazioni disponibili da studi recenti, riportando i dati in miliardi di euro e, dove possibile, in percentuale, con riferimento alle fonti consultate.

### Stime del Calo delle Esportazioni
1. *Confindustria e Centro Studi Confindustria*:
   - *Stima del calo: Secondo il Centro Studi Confindustria, i dazi al 15% potrebbero causare una contrazione delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti di circa **22,6 miliardi di euro, pari a circa un terzo (circa **33%) delle vendite totali verso gli USA, che nel 2024 ammontavano a circa **65-66 miliardi di euro. Tuttavia, parte di questa perdita (circa **10 miliardi di euro*) potrebbe essere compensata da un aumento delle esportazioni verso altri mercati.[](https://www.panorama.it/attualita/economia/dazi-usa-ue-cosa-cambia-per-litalia-dopo-laccordo-trump-von-der-leyen)
   - In uno scenario con dazi più alti (30%), Confindustria aveva stimato una riduzione di *38 miliardi di euro* (58% delle vendite negli USA), ma con i dazi al 15% l’impatto è più contenuto.[](https://www.startmag.it/economia/confindustria-impatto-dazi-trump-italia/)[](https://www.confindustria.it/pubblicazioni/da-dazi-e-dollaro-svalutato-piu-incertezza-e-meno-fiducia-frenano-export-consumi-e-investimenti/)
   - *Impatto sul PIL: L’effetto netto sul PIL italiano è stimato in una riduzione di circa **0,5-0,8%* entro il 2027, mitigato dalla capacità di reindirizzare l’export verso altri mercati.[](https://www.startmag.it/economia/confindustria-impatto-dazi-trump-italia/)[](https://www.confindustria.it/pubblicazioni/da-dazi-e-dollaro-svalutato-piu-incertezza-e-meno-fiducia-frenano-export-consumi-e-investimenti/)

2. *Unimpresa*:
   - *Stima del calo: Un’analisi del Centro Studi di Unimpresa prevede un impatto più contenuto, con una perdita di esportazioni compresa tra **6,7 e 7,5 miliardi di euro, significativamente inferiore alle stime iniziali di **10,5 miliardi di euro*. Questo grazie a esenzioni parziali o totali per settori strategici come le tecnologie avanzate.[](https://benessereconomico.it/esportazioni-italiane-e-nuovi-dazi-usa-ue-impatto-ridotto-ma-ancora-pesante-per-le-imprese/)
   - *Percentuale: Considerando che le esportazioni italiane verso gli USA nel 2024 sono state di **66-70 miliardi di euro, il calo stimato da Unimpresa rappresenta circa il **10-11%* dell’export totale verso gli Stati Uniti.

3. *Confimi Industria*:
   - *Stima del calo: Secondo il presidente di Confimi Industria, Paolo Agnelli, i dazi al 15% potrebbero portare a una perdita di fatturato di circa **12 miliardi di euro, equivalente a una riduzione del **20%* delle esportazioni italiane verso gli USA.
   - Questa stima tiene conto anche del differenziale del cambio euro-dollaro (circa 15%), che aggrava l’impatto economico.

4. *Centromarca*:
   - Per i beni di largo consumo, il calo delle esportazioni è stimato in *767 milioni di euro, corrispondente a una riduzione del **7,7%* a valore.

5. *ISPI*:
   - Secondo l’ISPI, un dazio del 15% potrebbe causare una contrazione delle esportazioni europee verso gli USA del *25-30%. Per l’Italia, considerando un’esposizione di circa **64-66 miliardi di dollari* (circa *55-57 miliardi di euro* al cambio attuale), ciò potrebbe tradursi in una perdita di *14-17 miliardi di euro. Tuttavia, l’impatto sul PIL italiano sarebbe limitato a circa **0,2%*.[](https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dazi-di-trump-al-15-limpatto-su-europa-e-italia-214963)

6. *Altri studi*:
   - Un’analisi riportata da lavoce.info stima un impatto di breve periodo più contenuto, con una contrazione delle esportazioni di circa *6 miliardi di euro* nei principali settori, grazie alla bassa elasticità di sostituzione dei prodotti italiani di alta qualità nel breve termine.[](https://lavoce.info/archives/107491/lexport-italiano-di-fronte-ai-dazi/)
   - Per il settore agroalimentare, che vale circa *8 miliardi di euro* di export verso gli USA, si stimano perdite di circa *500 milioni di euro per il vino, **240 milioni per l’olio d’oliva, **170 milioni per la pasta* e *120 milioni per i formaggi*.[](https://www.avvenire.it/economia/pagine/tutto-sui-dazi-ecco-cosa-rischia-l-economia-globale)

### Fattori che Influenzano l’Impatto
- *Esenzioni e settori colpiti*: Alcuni settori beneficiano di esenzioni parziali o totali, come i farmaci generici e alcune tecnologie avanzate, riducendo l’impatto complessivo. Tuttavia, settori come agroalimentare (vino, olio, salumi, formaggi), farmaceutico (non generici), meccanica, e moda sono particolarmente vulnerabili.[](https://www.corriere.it/economia/finanza/25_luglio_28/cosa-cambia-made-italy-dazi-esportazioni-usa-4c15e916-98c2-4f5d-8fb6-b85545991xlk.shtml)[](https://benessereconomico.it/esportazioni-italiane-e-nuovi-dazi-usa-ue-impatto-ridotto-ma-ancora-pesante-per-le-imprese/)
- *Cambio euro-dollaro: La svalutazione del dollaro (circa -13% rispetto all’euro dall’insediamento di Trump) aggiunge un “dazio implicito” che porta l’onere complessivo per gli esportatori italiani a circa il **21%*, riducendo ulteriormente la competitività.[](https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dazi-di-trump-al-15-limpatto-su-europa-e-italia-214963)[](https://www.confindustria.it/pubblicazioni/da-dazi-e-dollaro-svalutato-piu-incertezza-e-meno-fiducia-frenano-export-consumi-e-investimenti/)
- *Capacità di assorbimento*: Le imprese italiane di grandi dimensioni, che rappresentano oltre il 50% dell’export verso gli USA, sono più resilienti grazie a margini più alti e diversificazione geografica. Le PMI, invece, sono più esposte.[](https://www.unimpresa.it/dazi-terzo-aziende-italiane-esporta-usa/66365)
- *Compensazione su altri mercati: La capacità di reindirizzare l’export verso mercati in crescita come Emirati Arabi, Arabia Saudita, Turchia, Brasile, India e Messico potrebbe mitigare le perdite. Secondo ICE, questi mercati valgono già **25 miliardi di dollari* di export italiano.[](https://www.quotidianopiu.it/dettaglio/11090627/nuovi-dazi-usa-impatti-sul-commercio-internazionale)

### Sintesi
- *Range di calo atteso*:
  - *Valore assoluto: Le stime variano da **6 miliardi di euro* (lavoce.info, breve periodo) a *22,6 miliardi di euro* (Confindustria). Una stima media ragionevole si attesta tra *7,5 e 12 miliardi di euro*, con possibilità di compensazione parziale (circa 10 miliardi) su altri mercati.
  - *Percentuale: Il calo delle esportazioni verso gli USA è stimato tra il **7,7%* (beni di largo consumo) e il *33%* (Confindustria), con una media probabile intorno al *10-20%*.
- *Impatto settoriale*: I settori più colpiti saranno agroalimentare (soprattutto vino, olio, pasta, formaggi), farmaceutico (non generici), meccanica, e moda. L’automotive beneficia di una riduzione dei dazi dal 25% al 15%.[](https://www.corriere.it/economia/finanza/25_luglio_28/cosa-cambia-made-italy-dazi-esportazioni-usa-4c15e916-98c2-4f5d-8fb6-b85545991xlk.shtml)[](https://www.panorama.it/attualita/economia/dazi-usa-ue-cosa-cambia-per-litalia-dopo-laccordo-trump-von-der-leyen)
- *Studi di riferimento*: Le analisi più dettagliate provengono da Confindustria, Unimpresa, ISPI, e lavoce.info, con stime basate su dati Eurostat, World Bank-WITS, e modelli macroeconomici.[](https://www.startmag.it/economia/confindustria-impatto-dazi-trump-italia/)[](https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dazi-di-trump-al-15-limpatto-su-europa-e-italia-214963)[](https://benessereconomico.it/esportazioni-italiane-e-nuovi-dazi-usa-ue-impatto-ridotto-ma-ancora-pesante-per-le-imprese/)

### Conclusione
Il calo delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti a causa dei dazi al 15% è stimato tra *7,5 e 12 miliardi di euro* (circa *10-20%* delle esportazioni totali verso gli USA), con perdite maggiori nei settori agroalimentare, farmaceutico, e meccanica. Tuttavia, esenzioni per settori strategici e la possibilità di reindirizzare l’export verso altri mercati possono mitigare l’impatto. L’effetto sul PIL italiano è previsto tra *0,2% e 0,8%* nel medio-lungo periodo. Per dettagli su specifici settori o prodotti, posso approfondire ulteriormente se richiesto.

Le bimbe di Uva

La petulanza con cui i piddini recriminano sul fatto che a trattare con gli Usa sarebbe dovuto andare il nostro amico 🍇 (un vile affarista) dà l’esatta misura di quanto non abbiano capito i termini del problema, rispetto ai quali le qualità vere (o, come nel caso di 🍇, presunte) del negoziatore non spostano nulla. Rispetto a questo, vi dico che sarei stato io il primo a volere 🍇 al comando in una situazione come questa, soprattutto dopo aver visto come balbetta quando si trova davanti qualcuno che parla chiaro (virtù che a Trump non può essere disconosciuta)! Che cosa ci può essere di meglio per togliersi di torno un avversario che metterlo alla guida di un autobus senza freni lanciato a tutta velocità contro una rupe di granito!? Come si è schiantata VRSVLA, così si sarebbe schiantato 🍇, che in più (conoscendolo) ci avrebbe lasciato da gestire una pesante serie di ritorsioni.

Il fatto è che, come vado dicendo da sedici anni, l’UE nulla ha fatto per risolvere il problema degli squilibri macroeconomici globali e molto ha fatto per aggravarli. La semplice macroeconomia dei saldi settoriali, che dovrebbe essere per noi uno strumento acquisito almeno dal 2012, ci ammonisce che S-I = X-M. Ora, noi ci siamo raccontati che ci saremmo messi insieme per fare tanto “I” (investimenti pubblici e privati per favorire la crescita), ma sappiamo bene, essendo in grado di leggere i dati e di valutare i resoconti dei disinformatori, che invece abbiamo tenuto il freno tirato per fare tanto “X” (esportazioni), e con questo non abbiamo aiutato né noi né il resto del mondo.

La svalutazione competitiva dell’euro, rispetto alla quale i dazi sono una ritorsione tutto sommato blanda, è un pezzo, o meglio un epifenomeno, di questo squilibrio fondamentale. Sullo sfondo restano le parole di Alesina: “l’integrazione economica dovrebbe procedere di pari passo col separatismo politico: l’Europa sta andando nella direzione opposta”.

E quindi, anche se non possiamo dirlo perché altrimenti 🎺 si adonterebbe, dieci, cento, mille 🍇 alla guida del negoziato! Esattamente come la presidenza del consiglio non è stata, come credeva lui, un trampolino ma una tagliola sulla via del Quirinale, mettersi alla guida della cage aux folles europea non sarebbe il rilancio, ma la pietra tombale su una comunque invidiabile carriera politica, e questo non tanto perché l’Europa non è unita dall’UE, quando perché dovrebbe essere più divisa!

Non a caso chi auspica una soluzione simile è un altro uomo con un grande futuro dietro le spalle… 😉

Possiamo comunque tranquillizzare 🎺 e tutti i famoerpartitisti: un esito simile non è plausibile.

Purtroppo… 🤣


lunedì 28 luglio 2025

Undici anni fa

…l’algoritmo mi ha ricordato questo:


Chi c’era di voi?

Breve storia dei dazi e controdazi

Ieri avevo appena finito di rispiegare alcuni perché del "meno Europa", quando è arrivata la prova regina:


L'Europeona Unitona ha fatto peggio del povero San Marinuccio, che l'aveva chiusa bilateralmente al 10% tre mesi fa:


(come del resto aveva fatto il Regno Unito).

Che un negoziato bilaterale fosse possibile e potesse essere vantaggioso per il nostro Paese ce lo eravamo detti sei mesi fa, visto che l'Italia non era la principale fonte dello squilibrio causato dall'Eurozona:

D'altra parte, nonostante nessuno (tranne chi vi parla) lo mettesse in evidenza, la manovra statunitense era una contromisura allo squilibrio causato da quelli che abbiamo chiamato "i dazi di Draghi", cioè alla svalutazione competitiva dell'euro:


(svalutazione competitiva perché avveniva mentre il surplus europeo stava crescendo, diversa quindi dal fisiologico deprezzamento che subiscono le valute dei Paesi in deficit). Anche in questa svalutazione competitiva il nostro Paese aveva avuto un ruolo tutto sommato marginale, altrimenti la si sarebbe vista quando eravamo in crisi noi, intorno al 2011, mentre si è materializzata intorno al 2015, all'epoca del Dieselgate, cioè dell'inizio della fine tedesca. La contromisura, del resto, era largamente annunciata. Era il 2019 quando parlandovi di quelle che gli operatori informativi chiamano le tariffe vi facevo vedere che da quasi un decennio (allora) gli Stati Uniti manifestavano aperta insofferenza verso la manipolazione della valuta posta in essere dalla Germania. Tuttavia, nonostante le sparate iniziali (se ricordate, a febbraio si parlava di dazi al 25%):


ad aprile davo per molto probabile un punto di caduta vicino a quel 10% di cui Trump e i suoi esperti avevano parlato in campagna elettorale. In effetti, sia San Marinuccio che il Regnone Unitone (due realtà la cui distanza non devo evidenziarvi) l'hanno chiusa lì, come sapete. Ma noi ci siamo affidati alla sagace negoziatrice europea, in ossequio alla saggezza popolare secondo cui l'unione fa la forza. Il risultato è stato il profferire una serie di sconclusionate minacce:


Ben 95 miliardi di controcazzi, pardon: controdazi, senza mai e poi mai ammettere la natura del problema e dimostrare un minimo di resipiscenza e di volontà di raggiungere soluzioni cooperative. Insomma, una vera e propria Strafexpedition (che è la dimensione negoziale delle Sturmtruppen, come l'autogol è la dimensione dialettica del piddino) che non poteva portare che da una parte, qui:


Questa arroganza totale, questa incapacità ontologica di ammettere le proprie colpe, stupisce, perché poi si scopre che quando nelle vesti dell'importatore si trova l'UE, la signora von der Leyen ha ben chiaro che deve chiedere quello che da esportatrice non è disposta a concedere:


La malafede (e anche una certa ingenuità, se posso...) è quindi palese...

Inutile dire che alla minaccia di controdazi il Donaldo Trumpo ha reagito da par suo:


andando 5 punti percentuali oltre la sua pretesa iniziale del 25% (apro e chiudo una parentesi: le forme di parmigiano esposte sul Sole 24 Ore fanno capire come il giornale degli industriali italiani immagina sia composto il nostro export verso gli Usa), e trascinando così verso l'alto di 5 punti percentuali il punto di caduta, che quindi è stato il 15%, non il 10% che pensavo io (e pensava anche lui, come vi ho dimostrato per tabulas). D'altra parte, all'arroganza del botolo tedesco non si poteva rispondere in altro modo, ed è colpa nostra, non di Trump, se non ci è bastata la lezione del 1945.

I mercati, lungo tutto lo svolgersi di questa complessa vicenda, se ne sono battuti completamente il belino, tranne all'inizio, quando ci fu un tuffo verso il basso prontamente recuperato:


(questo è il FTSE MIB).

Non è chiaro perché mai gli operatori informativi e gli economisti da talk show, sempre così inclini a prosternarsi al verdetto dei mercati, in questo caso lo ignorino. Non è chiaro, cioè è chiarissimo: in questo caso il verdetto dei mercati non quadra con la loro narrazione terribilista "Trump pazzo cacca pupù disastro", e quindi lo ignorano. Mi è invece chiaro perché i mercati non si preoccupino: perché il 15% (cugino del 10%) è un margine che lungo catene distributive complesse si può assorbire, nel tempo, soprattutto considerando che a monte di questo aumento del 10% c'era stata una svalutazione del 25% che aveva consentito a molti di mettere, quatti quatti, tanto bel fieno in cascina. Ma non vi annoio con una lezioncina sul pricing delle aziende oligopolistiche che operano in mercati internazionali.

Non è nemmeno chiarissimo per quale motivo abbiamo evitato di percorrere la strada, assolutamente lecita, del negoziato bilaterale. Vero è che era stato Trump il primo a escluderla:


come era in sua piena potestà fare (mentre spero che abbiate capito, almeno voi, che la competenza esclusiva dell'UE è sui dazi che mette lei - perché anche lei ne mette! - non su quelli che mettono gli altri, nonostante questo concetto sia impervio a peraltro garbati colleghi con cui non voglio litigare: lascio che litighino loro col mio amico Aristotele...). Trump potrebbe averlo fatto per evitare di subire la solfa deamicisiana: "Trump, tu uccidi l'Europa!", ben consapevole che quest'ultima è di per sé un morto che cammina, e lo è tanto più quanto più si affanna a dare segni di vitalità. Lato nostro, credo che sia entrata in gioco una complessa valutazione di opportunità che tutto sommato condivido: se ci fate caso, mandare la von Sturmtruppen a schiantarsi contro il muro della propria connaturata arroganza di certo non la rafforza, ci ha evitato di passare per sabotatori del meraviglioso brogeddoeurobeo, con annesso costo politico di un nuovo otto settembre (di cui l'Italia è meglio che abbia fatto a meno), e alla fine ci è costato solo il 5% in più (15% invece di 10%). Un costo che molti imprenditori, inclusi quelli sollecitati dai media per alimentare la narrazione terribilista, trovano in fondo sostenibile (anche se è ovvio che chi ha beneficiato di una svalutazione del 25% preferisce poi non sostenere un dazio del 15%)!

Quindi, come dire: tutto è bene quel che finisce male!

Il nostro principale nemico ne esce indebolito anche di fronte ai più subalterni dei suoi vili lacchè (l'odierna rassegna stampa offre un florilegio inestimabile). Il nostro Paese non ne esce troppo danneggiato, posto che l'alleanza con il fiero alleato germanico ormai è lì, e sbarazzarsene non è semplice come ordinare una cedrata al bar (il che significa che l'ottica in cui dobbiamo porci è quella di riduzione del danno, e mi sembra che sia stata interpretata bene). Non ne esce troppo male nemmeno il blog, anche se avevamo fatto una previsione che era un bijoux, quel 10% che era nelle cose come tanti esempi dimostrano, e da cui ci siamo discostati, come il breve resoconto storico che vi ho fatto dimostra, solo per le goffe vociferazioni dell'odiosa megera.

Inutile dire che l'opportunità offerta dai dazi, quella di riflettere, come oggi chiede perfino Draghi, sul nonsenso di un modello di crescita sbilanciato sull'inseguimento dei mercati esteri, è finora andata perduta. Un modo per coglierla potrebbe essere, come sta facendo Claudio, usare la sponda della narrazione terribilista per chiedere un provvedimento che, come vi dicevo, è comunque nelle cose (l'allentamento delle regole di bilancio), o un provvedimento che non verrà mai accordato (la sospensione delle regole di bilancio). Tatticamente sarebbe una mossa interessante, ma vanno viste anche le sue implicazioni strategiche. Un'Europa che non strangoli se stessa con il Patto di stabilità rischia di innescare una nuova dinamica centro-periferia, un nuovo ciclo di Frenkel? Non è da escludersi, anche se in questo caso il motore degli squilibri, la Germania, più che sul dumping salariale e quindi sull'espansione delle esportazioni (con conseguenti squilibri debitori della periferia) sembra puntare su una sorta di dumping di bilancio e quindi sull'espansione degli investimenti bellici (con una spinta espansiva da cui in realtà la periferia potrebbe trarre beneficio, naturalmente fino al momento di rinnovare il magazzino). La fragilità causata dall'assenza di quel fisiologico meccanismo di riequilibrio che è il cambio nominale potrebbe tardare a palesarsi, ma sarebbe necessariamente parte degli sviluppi di un'Unione Europea che in un modo o in un altro cessasse di crescere sotto potenziale.

Intanto, il dollaro sta cedendo, cioè l'euro si sta rivalutando:


e chi ci dice (ora) che l'euro forte danneggia le imprese sta dicendo, senza rendersene conto, che una lira correttamente prezzata non le danneggiava.

Un passo alla volta...